La malattia che ha gestito i miei giochi – La mia storia – Parte 1 – 1980

Una casa vicino al mare

1980 Nasco a Catania.

Padre operaio sindacalista, Mamma puericultrice e poi direttrice volontaria (senza stipendio) dell’asilo della chiesa.

Una sorella maggiore e una sorella minore che sarebbe arrivata dopo insieme a mio fratello minore.

In poche parole, se avessero dovuto dare un titolo ad una sit com sulla mia famiglia l’avrebbero intitolata: quattro figli e uno stipendio.

Vivevo in una grande casa in un condominio grande popolato per la maggior parte da persone anziane.

A me e ai pochi bambini del palazzo era pure proibito giocare in cortile.

 

La malattia che ha gestito i miei giochi

 

Soffrivo di forti allergie alle piante e alla polvere, allergico a circa 14 cose, questo anche quelle rare volte che mi trovavo all’aria aperta, mi impediva di giocare come tutti i bambini.

Forte asma, inalatori e respiro affannato.

Così dovendo scegliere di fare attività che non includevano la corsa, mi dedicai al disegno quasi come unica alternativa.

Mio padre era un operaio di una grossa azienda, guadagnava decentemente per essere un operaio, e poi c’era la Lira, ma mancava tante ore da casa, per via dei lunghi turni di notte e del lungo viaggio che separava casa dal suo posto di lavoro.

Però quando tornava a casa mi portava la carta che usavano per stampare i report dei macchinari con delle grandi stampanti ad aghi.

Se sei nato nell’epoca dove il computer era un lusso per poche persone, saprai di cosa sto parlando.

Poco importava che fossero stampati in grigio, da una parte.

Bastava voltare la pagina e avere un foglio grande tutto per me.

 

Sperimentavo, disegnavo, facevo enormi aerei di carta dalle larghe ali che lanciavo dal balcone dell’appartamento al sesto piano dove vivevo.

Non andavo male a scuola, ma non ci trovavo davvero nulla di interessante.

C’erano gli altri bambini, e quello forse stare con loro era l’unica cosa divertente.

Poi le scuole di allora non erano come quelle di adesso: colorate e piene di giochi.

Somigliavano a qualcosa di tetro con le pareti dipinte di color avana, rovinate dalla colla del nastro adesivo trasparente che era stato utilizzato chissà quanti anni prima, per appendere qualche disegno… tentativo pressoché inutile di abbellire le aule.

 

La “cosa” che desideravo di piú: le persone

I contatti umani erano quelli, pochi, per un bambino che aveva un mondo che gli esplodeva dentro.

La mattina a scuola, pomeriggio compiti, cartoni animati, disegno, cena e letto.

La domenica si andava di mattina alla “scuola domenicale” l’equivalente del catechismo per gli evangelici protestanti di vecchia generazione.

Due ore di studio e versi della bibbia a memoria.

La domenica sera il culto; la versione allungata di una messa.

Altre due ore in una grande sala ricavata da due garages, uomini seduti da una parte, donne dall’altra.

I bambini in una stanzetta. Io non ci andavo, una volta rimanemmo chiusi dentro, mi spaventai ed decisi di sedere accanto a mia madre ogni domenica.

Stavo zitto e buono finché mi erano provvisti almeno un foglio e una matita.

Anche a causa di tutti gli impegni che i miei genitori avevano con la chiesa, giorni spesi a curare le persone bisognose, culti e riunioni… finii che il tempo libero con la famiglia, non sapevo nemmeno cosa fosse.

Con alcuni dei bambini che frequentavo in chiesa abbiamo vissuto le stesse situazioni, moniti e privazioni,(orari di rientro, posti dove non potevamo andare e tipi di persone da non frequentare) ancora adesso siamo grandi amici e non riesco ad immaginare la mia vita senza di loro.

Ricapitolando, i miei spazi di socializzazione erano pressoché nulli, quasi zero per un bambino che avrebbe potuto parlare per ore intrattenendo le folle come un consumato attore di teatro.

Eppure sono sempre stato talmente entusiasta delle cose, che avrei voluto parlare con il mondo intero.

Ecco perché sono estremamente socevole

Ho maturato una parlantina simile a una valanga che travolge chi mi incontra.

Sin da piccolo parlavo tanto, e tutti gli adulti mi rimproveravano per questo.

Non sapevano che negli anni a seguire questo difetto avrebbe fatto la mia fortuna.

continua…

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